8 milioni di t. di plastica in mare all’anno. In gran parte sotto forma di microplastica. Cosa arriva nei nostri piatti?
Dei 300 milioni di tonnellate di plastica prodotti annualmente, si stima, che almeno 8 milioni finiscono in mare.
È come se, ogni minuto per 365 giorni, un camion della spazzatura riversasse tutto il suo contenuto in acqua. Senza sosta. Se non ci sarà un cambio di rotta, con una diminuzione della produzione e una maggiore attenzione allo smaltimento, nel 2050 i camion al minuto diventerebbero quattro.
Un problema, dunque, di dimensioni gigantesche che ci tocca molto da vicino, visto che il Mediterraneo supporta circa il 30% di traffico di idrocarburi, nonostante sia uno dei mari più piccoli al mondo.
Secondo Legambiente il rapporto, che sintetizza i principali studi scientifici sull’inquinamento da plastica in mare, “potrà essere un utile contributo per il Ministero dell’Ambiente che dovrà rispondere alla richiesta di chiarimenti della Commissione europea sul bando italiano degli shopper”sono queste, infatti, le motivazioni di carattere ambientale che possono consentire all’Italia di giustificare ogni ipotesi di violazione della Direttiva europea sugli imballaggi”.
Secondo uno studio, inoltre, la plastica rappresenta il principale rifiuto rinvenuto nei mari poichè costituisce dal 60% all’80% del totale dell’immondizia trovata nelle acque. Un dato che, in alcune aree, raggiunge persino il 90-95% del totale ma anche nei mari italiani arriva a livelli gravissimi.
Basta pensare che secondo il monitoraggio effettuato dall’Arpa Toscana nell’arcipelago toscano in un’ora sono stati prelevati dai pescatori con reti a strascico 4 kg di rifiuti, di cui il 73% costituito da materiale plastico, soprattutto sacchetti.
Ma la situazione non è migliore anche nel resto del Mediterraneo dove, in base agli esiti di International Coastal Cleanup, i sacchetti di plastica sono risultati il quarto rifiuto più abbondante dopo sigarette, mozziconi e bottiglie.
Il Mediterraneo è, letteralmente, un mare di plastica. Secondo un rapporto dell’Unep (Agenzia ambientale delle Nazioni Unite), ogni giorno finiscono nelle sue acque 730 tonnellate di rifiuti in plastica Il Paese che ne disperde di più nel Mare Nostrum è la Turchia (144 tonnellate al giorno), seguita da Spagna (125) e Italia (89,7). Il problema più grosso nel Mediterraneo sono le microplastiche: il 92 per cento della plastica presente è più piccola di 5 millimetri. Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Ismar-CNR) in collaborazione con alcune università, parla di “Mediterranean soup”: una zuppa mediterranea di plastica. In alcuni punti del mare, la concentrazione di particelle rilevata è la più alta del mondo: “Una media di 1,25 milioni di frammenti di plastica a chilometro quadrato, contro i 335 mila del Pacifico”. La distribuzione delle microplastiche non è omogenea
Il punto peggiore, secondo lo studio che ha raccolto dati per tre anni, è nel tratto compreso tra la Corsica e la Toscana (10 chili di microplastiche per ogni chilometro quadrato). Il migliore a nord-est della Puglia e a largo delle coste occidentali della Sicilia e della Sardegna (2 chili di microplastica per ogni chilometro quadrato).
In acqua sono stati “pescati” inquinanti di tutti i tipi: polietilene, polipropilene, poliammidi, vernici. E anche i biopolimeri, teoricamente biodegradabili. A peggiorare la situazione c’è il fatto che il Mediterraneo è un mare chiuso: una particella potrebbe avere un tempo di permanenza pari a mille anni.
L’impatto più serio di questo enorme carico di rifiuti è che la maggior parte non la vediamo perché è sotto forma di microplastica, ma è comunque pericolosa: ingerita dai pesci, arriva fino ai nostri piatti. Il Mediterraneo ne è pieno
Chi consuma abitualmente pesce e mitili, come cozze e vongole, ingerisce più di 11mila frammenti di plastica ogni anno.
E’ l’allarme lanciato da un gruppo di ricercatori della Ghent University, in Belgio, che mette in guardia dagli effetti negativi a lungo termine provocati sulla salute umana, oltre che sull’ambiente.
Quali effetti sull’organismo?
Secondo gli scienziati, oltre il 99% di questi microframmenti finisce nel nostro organismo attraverso il cibo che consumiamo e vi rimane per molto tempo.
Il punto è: che fine fa tutta questa plastica?
Viene smaltita dal corpo o provoca malattie e infezioni?”
Le cozze, ad esempio, filtrano circa venti litri di acqua e assorbono nei loro tessuti almeno un piccolo frammento di plastica ogni giorno
Quali soluzioni adottare, dunque?
Un contributo importante, quello della Sintol, start up nata nel 2015 all’interno del Politecnico di Torino, con l’idea di realizzare in Italia un impianto di trasformazione dei residui plastici in carburanti, filone considerato promettente della green economy perché unisce i benefici della riduzione dei rifiuti alla riduzione dello sfruttamento delle risorse.
Ma non di irrilevanti dimensioni è la consapevolezza di ciascun individuo a prendere nota del problema e comportarsi con serietà e coscienza smaltendo correttamente sacchetti e bottiglie di plastica