Riuscire a trasformare l’acqua di mare in acqua potabile è una delle sfide ingegneristiche che tiene ancora con il fiato sospeso la comunità scientifica. Le tecnologie esistono, ma renderle economiche e quindi convenienti sia da produrre che da vendere, è un’impresa. Un contributo importante alla soluzione del rebus arriva però dal Politecnico di Torino. Qui un team di ingegneri del Dipartimento Energia – DENERG in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology-MIT (Cambridge, USA) e l’University of Minnesota (Minneapolis, USA), è riuscito a fare importati passi avanti nella comprensione di uno degli elementi chiave dell’osmosi inversa.
Questa tecnologia di dissalazione richiede che l’acqua di mare venga spinta con una pressione elevata verso delle membrane che, simile a dei “setacci molecolari”, trattengano Sali e particelle solide dissolte.
“Una membrana efficiente – spiegano i ricercatori del Politecnico – ha la caratteristica di farsi attraversare dalla maggior quantità di acqua a parità di energia richiesta per il processo [la pressione idraulica esercitata da una pompa], ossia di possedere un’elevata permeabilità”.
Il team è riuscito, per la prima volta, a comprendere i meccanismi che regolano il trasporto dell’acqua da una parte (acqua salata) all’altra (acqua dolce) della membrana, concentrandosi sulla capacità delle membrane di trasportare l’acqua. Nei laboratori del MIT è stata misurata sperimentalmente la capacità delle membrane di zeolite – un materiale caratterizzato da una fitta rete di nanopori – scoprendo che quella reale è quasi un milione di volte inferiore rispetto al valore atteso. In altre parole risultano molto meno permeabili in pratica rispetto alla teorica capacità.
Gli scienziati hanno scoperto che l’enorme differenza tra i valori di permeabilità della membrana attesi e misurati sperimentalmente sono da imputarsi alla resistenza superficiale della membrana al trasporto dell’acqua. Tale resistenza è dovuta agli attuali metodi di fabbricazione delle membrane in zeolite, che causano la chiusura di più del 99,9% dei pori superficiali teoricamente disponibili. In altri termini, le molecole di acqua hanno a disposizione un ridottissimo numero di pori per infiltrarsi nella membrana (uno ogni mille), e questo causa un effetto collo di bottiglia che rallenta il trasporto complessivo dell’acqua attraverso la membrana, dunque riducendone drasticamente la permeabilità. Dopo più di due anni di ricerche tramite simulazioni al computer e attività di laboratorio, Matteo Fasano, Alessio Bevilacqua, Eliodoro Chiavazzo, Pietro Asinari (Multi-Scale Modelling Lab, Dipartimento Energia al Politecnico di Torino), Thomas Humplik, Evelyn Wang (Device Research Laboratory, MIT) e Michael Tsapatsis (Tsapatsis Research Group, University of Minnesota) sono così riusciti a creare un preciso modello fisico di questo processo.
La scoperta ha un impatto immediato nella fabbricazione di membrane innovative per la dissalazione, in cui si miri principalmente all’aumento del numero di pori superficiali accessibili e dunque alla riduzione della resistenza superficiale al trasporto. I ricercatori stimano che membrane create con criteri simili abbiano la possibilità di raggiungere permeabilità fino a 10 volte superiori a quelle attuali, abbattendo così i costi operativi necessari al processo di dissalazione.
Da – Rinnovabili.it