Uno studio americano pubblicato su Nature e finanziato dal National Institutes of Health nell’ambito dell’Autism Centers for Excellence Program, suggerisce nuove prospettive in merito all’autismo, con la possibilità di prevedere il disturbo prima che si manifestino i suoi segni tipici, così da intervenire precocemente con strategie mirate ad alleviare la sofferenza futura e a migliorare le capacità cognitive, oltre che all’inserimento sociale dei bimbi che potrebbero sviluppare la sindrome.
Tutto ciò sarebbe possibile utilizzando la risonanza magnetica su piccoli ad alto rischio di autismo, cioè bambini con fratelli maggiori che già presentano la condizione, sulla base di cambiamenti precoci riconoscibili nel cervello. In questo modo, gli autori potrebbero essere in grado di identificare i futuri pazienti in circa l’80% dei casi.
Nello studio, gli autori hanno utilizzato la risonanza magnetica eseguita durante il sonno per valutare le differenze nello sviluppo cerebrale di 3 gruppi di bambini: piccoli ad alto rischio familiare (con fratelli più grandi autistici) che hanno poi ricevuto una diagnosi di autismo a 2 anni (l’età in cui tipicamente si iniziano a riconoscere i sintomi del disturbo); bimbi ad alto rischio che a 2 anni non hanno mostrato segni di malattia; bambini a basso rischio familiare che all’età di 2 anni non hanno manifestato autismo. Tutti sono stati esaminati a 6, 12 e 24 mesi.
E’ emerso che i bambini autistici hanno un tasso di crescita più veloce della superficie cerebrale tra 6 e 12 mesi, come pure fra 12 e 24, rispetto ai piccoli non autistici. Successivamente, gli studiosi hanno inserito i dati della risonanza magnetica a 6 e 12 mesi (volume cerebrale, ampiezza della superficie cerebrale, spessore della corteccia) in un programma computerizzato che proprio in base alle informazioni dell’imaging – quindi alla forma e alle dimensioni del cervello – ha classificato i bambini maggiormente ‘candidati’ a corrispondere a un quadro di autismo all’età di 24 mesi. L’algoritmo elaborato è stato dunque applicato su un ‘set’ separato di partecipanti allo studio, ed ecco il risultato: i segni cerebrali individuati a 6 e 12 mesi hanno permesso di identificare con successo 8 su 10 dei bimbi ad alto rischio di autismo che effettivamente si sono ammalati a 2 anni.
Secondo i dati dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) statunitensi, negli Usa è autistico un bimbo su 68. I fratelli dei piccoli con diagnosi di autismo, rispetto alla popolazione generale, hanno maggiori probabilità di svilupparlo a loro volta. E benché non esista al momento una cura per il disturbo, diagnosi precoce e interventi tempestivi possono essere di grande aiuto.
Inoltre, ricerche precedenti hanno indicato che le persone con autismo hanno un cervello più grande, una caratteristica che può essere individuata già durante l’infanzia. Il nuovo lavoro lo conferma e suggerisce il potenziale predittivo di questi segni ‘spia’. Benché si tratti del primo studio che fa sperare nella possibilità di codificare un giorno una tecnica capace di prevedere l’autismo, gli scienziati tengono a precisare come siano necessarie ulteriori ricerche di conferma.
Da: Osservatorio Malattie Rare
SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK