Un’epidemia di peste polmonare, la forma più letale di peste, si sta rapidamente diffondendo in Madagascar, dove ha raggiunto i grandi centri abitati e la capitale, Antananarivo (Tana). Il 7 ottobre 2017, secondo quanto riferito dalle autorità sanitarie malgasce, i contagiati erano 343 e i morti 42, numeri purtroppo in crescita.
UNA PIAGA ENDEMICA
Lo stato insulare è spesso interessato da focolai di peste bubbonica, la varietà dell’infezione causata dal batterio Yersinia pestis che a metà del Trecento uccise circa il 30% della popolazione europea. I roditori selvatici (come i ratti) serbatoi del patogeno trasmettono la malattia alle pulci che si nutrono del loro sangue, le quali a loro volta la trasmettono all’uomo: la trasmissione da uomo a uomo è più rara e avviene attraverso pulci e pidocchi.
RAPIDO CONTAGIO
La peste polmonare è più preoccupante perché si trasmette da persona a persona per via aerea, attraverso tosse e starnuti di persone infette. Deriva dallo stesso batterio, ma si sviluppa quando una persona con peste bubbonica non viene curata, e l’infezione si diffonde ai polmoni.
L’INTERVENTO
Se la peste bubbonica uccide dal 30 al 60% degli infetti, quella polmonare non lascia scampo: è sempre letale se il paziente non viene trattato con antibiotici nel giro di 24 ore dai primi sintomi. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha consegnato al Madagascar 1,2 milioni di dosi di antibiotici il 6 ottobre scorso.
L’OMS ha anche classificato come alto il rischio di trasmissione nazionale, mentre quello internazionale rimane al momento molto basso.
L’ORIGINE
Il paziente zero sarebbe stato identificato in un uomo di 31 anni della città costiera di Toamasina, che il 27 agosto avrebbe cercato di raggiungere con i mezzi pubblici la capitale, percorrendo 800 km e morendo lungo il tragitto. I primi gruppi di contagiati sarebbero emersi proprio in vari punti della strada percorsa dall’uomo.
PROBLEMA STRUTTURALE
Come per il caso di Ebola, l’epidemia sarebbe stata favorita dall’estrema povertà e dalle precarie condizioni igieniche in cui versano le zone più remote del Paese, in cui la popolazione vive a stretto contatto con i roditori selvatici e spesso se ne ciba. La superstizione e la difficoltà di raggiungere le aree colpite, insieme alla mancanza di risorse economiche e alla frammentazione delle strutture sanitarie, avrebbero aggravato il quadro.
Fonte: Focus