Il lago di Bracciano sta soffrendo . E sta cambiando anche la sua morfologia: anse e spiaggette emergono dal ritiro delle acque, i moli fluttuano nel vuoto, desolatamente conficcati sulla fanghiglia di quello che per adesso è ancora l’ottavo bacino in ordine di grandezza in Italia.
Si, certo una situazione aggravata dalla scarsità delle piogge invernali, ma che di naturale ha poco o nulla. Il fatto è che il lago di Bracciano, inestimabile gioiello naturalistico nel compendio ambientale della Tuscia, è anche la principale fonte di approvvigionamento idrico della Capitale e di 100 comuni limitrofi. Risale al 1990 la concessione del Ministero dei Lavori Pubblici che autorizza Acea a prelevare una quantità minima di acqua fissata in 1.100 litri al secondo, fino a un massimo “in casi eccezionali” di 5.000 l/s.
Quasi a fine ottobre il livello delle acque è – 1,80 ma anche senza calcoli e misurazioni, basta un colpo d’occhio per rendersi conto che le acque del lago si sono ritirate oltre i livelli di guardia
Le acque si sono visibilmente ritirate. Metri di fondale ora scoperti si sono trasformati in un’ampia zona paludosa, e sono state colonizzate da vegetazione e specie animali tipiche di questo nuovo ambiente.
Sono segnali,di quella che viene definita successione idrarca: la progressiva trasformazione di un ambiente lacustre in uno terrestre
Un processo che può essere assolutamente naturale, ma che impiega solitamente secoli per giungere a compimento, e non una manciata di mesi come avvenuto a Bracciano e quando la vegetazione terrestre si è stabilizzata, anche con il ritorno delle acque all’altezza normale ci vogliono anni per riportare l’ecosistema allo stato originale”.
I ‘reni’ del lago
Se da un lato è vero, che il lago è profondo 164 metri, dobbiamo considerare, che non tutta la cuvetta (ovvero il fondale n.d.r.) è utile per lo sviluppo di quell’ecosistema che garantisce l’autodepurazione delle acque’.
In altri termini si tratta di quella parte di fondale sulla quale riescono a crescere alghe e piante acquatiche che sono in grado di metabolizzare ed elaborare le sostanze che arrivano nel lago, come per esempio l’azoto e che, attraverso questa funzione, garantiscono un ambiente ricco di ossigeno e dunque salubre. Si tratta dei reni del lago.
Perché i primi 25 metri di fondale sono i più importanti
“Questa fascia corrisponde ai primi 20-25 metri di fondale. E’ solo qui che avvengono i fenomeni di autodepurazione
Dal momento che i fondali del lago mostrano un andamento a scarpate progressive, si nota che questa fascia che arriva ai 25 metri di profondità è molto circoscritta e molto vicina alla riva.
L’abbassamento del livello dell’acqua di oltre 150 centimetri ha comportato la perdita di circa il 13 per cento di questa preziosa area.
Si tratta di una superficie “che non ha ancora compromesso gli equilibri lacustri” ma che, con il continuo prosciugamento del Lago, è destinata ad estendersi.
Quali sono i pericoli a lungo termine per questo particolare ecosistema?
Gli squilibri innescati dal prosciugamento delle acque alterano l’ecosistema lacustre a più livelli: favoriscono la diffusione di pesci invasivi e li avvantaggiano nella competizione con quelli locali, compromettono la vegetazione sommersa (che comprende l’alga endemica Isoëtes sabatina), e provocano squilibri anche nella zone più profonde – il lago raggiunge una profondità massima di 165 metri – abitati da microorganismi che svolgono un ruolo essenziale per depurare le acque.
Il delicato equilibrio di questo ambiente a suo modo unico rischia insomma di essere compromesso.
E i danni a lungo termine, non sarebbero solo a carico della biodiversità del lago. Quello che bisogna capire è che si tratta di un lago, e non di un semplice bacino idrico, la differenza è che un ecosistema lacustre offre servizi e funzioni utili all’uomo come la pesca, il turismo e la denitrificazione che mantiene le acque pulite. E quando l’ecosistema va in crisi, a farne le spese sono tutte le comunità della zona.
Acea e la captazione dell’acqua
In un incontro risalente ai primi di marzo Acea aveva ribadito di “rispettare in pieno” i termini della concessione, evidenziando che il vero problema era rappresentato “dalle eccezionali condizioni meteo caratterizzate dalla scarsità di precipitazioni”. Neanche una petizione lanciata dai cittadini è riuscita a smuovere l’azienda capitolina, che ha fatto sapere di non poter in alcun modo interrompere la captazione d’acqua. Ma dopo l’ultimo tavolo tecnico promosso dalla Regione Lazio con tutti i soggetti interessati (comuni lacustri, il Consorzio Lago di Bracciano, il Parco Naturale di Bracciano e Martignano), si è arrivati a un compromesso: i prelievi sono stati diminuiti a 700 litri al secondo, non sufficienti comunque ad arrestare l’abbassamento del livello del lago.
Ad oggi, metà ottobre, il livello oscilla intorno a – 1,90 e siamo molto lontani dalla soluzione della crisi idrica di Roma.
Ci auguriamo che le istituzioni coinvolte, anche alla luce della documentazione scientifica finora prodotta, adottino celermente le misure veramente adeguate a far fronte alla grave situazione, disponendo l’immediata interruzione delle captazioni dal lago di Bracciano fino al ripristino del suo livello naturale.
Vogliamo ricordare l’importanza del Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano per tutte le specie di uccelli acquatici
La zona rappresenta per l’avifauna acquatica un’importante area di svernamento ed accoglie un elevato numero di uccelli acquatici: il territorio del Parco costituisce, infatti, la seconda zona umida nel Lazio, per quantità di uccelli acquatici svernanti, dopo il parco Nazionale del Circeo.
I boschi, le radure e gli ambienti umidi favoriscono la presenza di una ricca fauna ornitica.
Sono state infatti individuate 162 specie di uccelli, 79 delle quali nidificanti.
Gli uccelli acquatici si distribuiscono in funzione della profondità dell’acqua per cercare il cibo.
Tra le anatre di superficie, che si immergono con la sola metà anteriore del corpo per nutrirsi della vegetazione che si trova sul fondo, oltre che di piccoli invertebrati acquatici, sono presenti il fischione (Anas penelope), che pascola in grossi gruppi sui prati del lago di Martignano, il germano reale (Anas plathyrhynchos), la canapiglia (Anas strepera), l’alzavola (Anas crecca) la più piccola tra le anatre europee, e il mestolone (Anas clypeata); più raramente si possono osservare il codone (Anas acuta) e la marzaiola (Anas querquedula).
Tra le specie tuffatrici più significative, che, per la capacità di immergersi in profondità, riescono ad alimentarsi anche nel mezzo del lago dove l’acqua è più profonda, si possono osservare: la folaga (Fulica atra), il moriglione (Aythya ferina) un anatide dal capo color mattone; tra i podicipedi troviamo lo svasso maggiore (Podiceps cristatus); lo svasso piccolo (Podiceps nigricollis) che forma fitti gruppetti lungo le rive dei due laghi, e il tuffetto (Tachybaptus ruficollis); infine, va citato il cormorano (Phalacrocorax carbo), una specie pelagica che sverna comunemente nelle acque interne.
Tra le presenze più significative nei laghi di Bracciano e Martignano è da segnalare il fistione turco (Netta rufina), una rara anatra tuffatrice orientale, poco numerosa come svernante in Italia, per la quale, nel lago di Martignano, si raggiungono valori molto elevati, tra i più alti anche a livello nazionale.
Da ricordare inoltre, tra le specie rare osservate negli ultimi anni, la moretta tabaccata (Aythya nyroca) e la strolaga mezzana (Gavia arctica).