Da tempo si è intuito che la personalità può avere un ruolo decisivo nel moderare gli effetti delle avversità e delle malattie e nel favorire condizioni di malessere o vere patologie, attraverso l’assunzione di comportamenti che possono essere identificati come veri “fattori di rischio”
E grazie allo studio delle patologie cardiovascolari che si è intuito come particolari profili di personalità, ad esempio il tipo A, potessero essere correlati al rischio di patologie coronariche, ovvero come alcuni stili di vita o modalità di gestione delle problematiche della vita quotidiana potessero, in qualche modo, esporre l’individuo allo sviluppo di determinate patologie.
Nel corso degli anni si sono sviluppati modelli interessanti di studio: è rilevante, ad esempio, la correlazione tra personalità di tipo C e cancro, con l’obiettivo di correlare specifiche strutture di personalità a determinate patologie. Tali modelli, tuttavia, non sono apparsi esaustivi, lasciando aperte molte questioni e soprattutto non apparivano idonei a fornire validi strumenti in tema di prevenzione, di diagnosi e trattamento delle patologie oggetto degli studi. Ciò che invece è scaturito, e che oggi appare oggetto di interesse clinico, è il dato che. pur non rilevandosi lineare il rapporto, ad esempio, tra la personalità di tipo A ed il rischio coronarico, è apparso evidente come analoghe modalità di comportamento possano non soltanto assolvere funzioni diverse, ma anche avere conseguenze diverse nei differenti contesti e per differenti individui.
In altri termini, il problema si centra sulla capacità del singolo individuo di rapportarsi alla vita, sulle sue cognizioni rispetto ai valori della vita e al senso che egli singolarmente attribuisce agli eventi, facendo attenzione anche al livello di tensione interiore che può scaturire, ad esempio, da ambizioni continuamente disattese, da livelli eccessivi di ansia, da preoccupazioni non fondate, da un mondo interiore stabilmente inquieto, indipendentemente dalla presenza o meno di reali fattori di stress.
Tale modello attribuisce in definitiva alla personalità un ruolo centrale nella tutela del benessere definendo allo stesso modo i limiti che la stessa personalità può porre al benessere della persona in termini di qualità di vita, fino allo sviluppo di condizioni psicologiche in cui l’individuo, proprio per la presenza di specifici tratti di personalità, appare particolarmente vulnerabile allo sviluppo di condizioni morbose fisiche o psichiche: l’arra di rischio psicosomatico appare cosi come il sostanziale fallimento delle capacità adattive dell’individuo rispetto alle problematiche della vita. L’adattabilità dell’organismo ha infatti, limiti che non possono essere superati e tutte le ricerche dimostrano che la resistenza agli agenti stressanti arriva solo fino a un certo punto. Lo stress è il grande equalizzatore delle funzioni biologiche, ma quando diventa cronico o risulta particolarmente intenso, quando l’individuo non riesce più ad adattarsi e a trovare la giusta soluzione ai suoi problemi, lo stress stesso, da sale della vita diventa fonte di patologia (distress).
La conflittualità familiare, la tensione lavorativa, la perdita del posto di lavoro, l’insorgenza di una patologia, ma anche l’acquisto di una casa, la nascita di un figlio, o una promozione sul posto di lavoro sono alcuni dei motivi che possono generare situazioni di distress. La vita richiede un continuo processo di adattamento e qualsiasi evento, sia negativo che positivo, può sollecitarlo. Gran parte delle tensioni emotive legate alla vita derivano dai problemi quotidiani, e l’adozione di strategie di difesa fallimentari appaiono spesso fattore di sofferenza aggiuntiva: l’individuo vive cosi una condizione di permanente sovraccarico e di cronica sovraeccitazione che lo espone al disagio, alla patologia e ad una progressiva compromissione della sua qualità di vita.
Prof.Gennaro D?Amato