Nessuno si sarebbe aspettato che il pianeta potesse essere travolto da uno “Tsunami” come quello provocato dalla pandemia indotta dal virus SARS-Cov.2.
Le nostre società sono in ginocchio: non avveniva per ragioni epidemiologiche da 100 anni, da quando cioè l’influenza maligna della Spagnola fece milioni di morti nel mondo tra il 1918 e il 1920. La malattia ridusse notevolmente – di circa 12 anni – l’aspettativa di vita della popolazione, già uscita peraltro malconcia dalla prima guerra mondiale. A differenza dalla maggior parte delle epidemie influenzali che uccide quasi esclusivamente pazienti anziani o già indeboliti, la pandemia del 1918 colpì prevalentemente giovani adulti precedentemente sani. Un gruppo di ricercatori, recuperando il virus dai corpi delle vittime congelate, ha scoperto che la Spagnola determinava una rapida insufficienza respiratoria con alto indice di mortalità mediante polmoniti indotte da tempeste citochiniche progressive con una reazione eccessiva del sistema immunitario.
In questo senso, le analogie con la SARS-Cov-2 sono evidenti. La Covid19 ha messo a dura prova un po’ tutti, persone ed organizzazioni. La scelta del legislatore italiano di una sempre maggior autonomia delle Regioni in campo sanitario a discapito di una gestione centralizzata, ha creato problemi non indifferenti a partire da una disomogeneità palese tra regione e regione. La distribuzione non uniforme del virus, con il maggior coinvolgimento delle regioni del nord ed in particolare della Lombardia, ha stimolato anche insane rivalità campanilistiche che ha assunto in alcuni momenti livelli conflittuali assimilabili, o quasi, a quelli tra opposte tifoserie nel mondo del calcio. Allo stato attuale, malgrado in Italia a livello centrale si contino 17 task force governative con oltre 300 superesperti coinvolti (con relative prebende da versare che si vanno ad aggiungere a quelle regionali), manca di fatto una visione strategica che impedisca il frammentamento delle responsabilità e dei finanziamenti in mille rivoli.
A proposito di regioni, alcune hanno fatto molti tamponi, altri molti di meno o tali test diagnostici erano limitati solo a chi aveva febbre protratta con tosse e dolore toracico; inoltre gravi ritardi si contavano per i tamponi destinati a parenti di infetti o a coloro che ne erano venuti a contatto e che correvano grosso rischio di ammalarsi a loro volta, data l’alta contagiosità del virus. Ho potuto verificare tutte queste difformità e ritardi avendo curato in telemedicina molti pazienti o sospetti tali ed avendo dato la mia disponibilità anche per incontri via skype con medici di famiglia che giustamente si lamentavano di essere mandati allo sbaraglio senza adeguate protezioni, in particolare di mascherine, estremamente utili per ridurre i rischi di contagio. Ad oggi 21 aprile, i medici deceduti in Italia sono ben 140 e il contributo dato dai medici di famiglia è forse il più drammatico. COME MAI in ITALIA TANTI DECESSI IN PIU’ rispetto ai Tedeschi?
Francamente non sono simpatici i tedeschi ma bisogna prendere atto che sono più organizzati dell’Italia e il loro sistema sanitario offre adeguate garanzie per i cittadini. In Italia la mortalità (cioè la proporzione di morti rispetto alla popolazione) è di 384 per milione di abitanti mentre in Germania è di 54 per milione di abitanti; quanto alla letalità, ossia la percentuale di morti rispetto ai malati, il rapporto Germania – Italia è di 3 a 13%.Tanto per citare qualche dato, in Germania – sono stati eseguiti 350.000 tamponi al giorno dall’inizio dell’epidemia; – erano a disposizione 28.000 posti in terapia intensiva (e non 5000 come l’Italia); – sono stati assistiti tutti i pazienti con sintomi non gravi attraverso telemedicina e cure domiciliari; – sono state acquistate e distribuite a tappeto mascherine ( e da agosto potranno contare su 200 milioni di mascherine prodotte in Germania). Risultato: letalità molto inferiore rispetto ad altri paesi europei e il 4 maggio in Germania si riapre tutto, comprese le scuole (a tempo pieno, con la mensa).
Come è possibile che ci siano tante differenze? Occorre considerare una differente struttura demografica. Colpisce la differenza di età media dei malati: 45 anni della Germania contro i 63 dell’Italia. Altro punto rilevante per capire le dinamiche del problema è l’analisi della struttura sociale: nel nostro paese abbiamo un tessuto sociale trigenerazionale con contatti frequenti tra nonni, genitori e figli, mentre in Germania questi interscambi sono ridotti. C’è poi una differenza nelle dichiarazioni delle morti. Infatti, i tedeschi imputano la causa di morte alla malattia che ha dato origine al processo che ha condotto al decesso e ciò significa, ad esempio, che in un paziente con HIV che si infetti da SARS-Cov.2 e che muoia per le complicanze da Covid19, la causa di morte è etichettata come Infezione da HIV. Occorre poi considerare le differenze nella capacità organizzativa e ricettiva delle due strutture sanitarie, quella italiana e quella tedesca. In Italia, soprattutto agli inizi dell’epidemia, e in realtà dagli inizi di marzo e fino agli inizi di aprile, si era costretti ad aspettare anche 15 giorni per avere un tampone con la diagnosi molecolare,
in Germania bastavano due gironi. Ciò aveva come conseguenza che in Germania già in terza giornata il paziente, rapidamente diagnosticato, poteva iniziare la terapia mentre quello italiano andava avanti per 7-10 giorni solo con antifebbrili, oltretutto non in grado di fare abbassare la febbre da Covid19. In breve, una brutta batosta per il nostro Paese, soprattutto per le regioni settentrionali ed in particolare la Lombardia, che era ritenuta l’area di maggior efficienza organizzativa della Sanità in Italia. Speriamo che, tornati alla normalità, non ci si dimentichi di questi momenti terribili e che questa epidemia stimoli ad una migliore organizzazione del nostro paese. Quando finirà questa epidemia? Ci auguriamo che possa seguire la stessa evoluzione della cosiddetta suina del 2009, nata anch’essa come la Spagnola e l’Australiana dal virus H1N1. Nel 2009 il mio reparto di Pneumologia al Cardarelli incomincio a riempirsi di polmoniti a gennaio e continuò ad essere pieno fino a fine aprile per poi iniziare a svuotarsi a fine maggio. Fu l’effetto delle temperature e del caldo che ridusse l’aggressività del virus? In realtà sappiamo che le epidemie hanno in genere un ciclo di alcuni mesi e poi tendono a diradarsi fino a scomparire. Speriamo che avvenga lo stesso anche con questo virus che non ho esitato a definire “bastardo”.